Prima lettera alla classe Vb


Agli allievi della 5a  Scuola Elementare F. Mazzarello, Torino

Cari ragazzi,
   Ci siamo incontrati martedì 12 gennaio sull’autobus 58. C’è qualcuno di voi che se ne ricorda?
Mentre stavo scendendo, avendo visto i miei pochi capelli bianchi, mi avete chiesto dei miei ricordi sul 10 giugno’40 e sul ‘25 aprile ’45. Ecco qua.

Nel 1940 io avevo 11 anni e frequentavo la 5a elementare. Proprio come voi ora. Una analogia casuale, ma interessante, vero? Io abitavo a Vimercate un paese della Brianza (lascio a voi indovinare dove si trovi la Brianza) dove ero nato.

Non ricordo esattamente che giorno della settimana fosse il 10 giugno, ma era giorno di scuola. Sono ora andato a controllare sul calendario universale (?) e ho scoperto che era un lunedì.
Il cielo era coperto. Non c’era un filo di vento. Ero andato a scuola come tutti i lunedì (e come del resto tutti gli altri giorni feriali incluso il sabato). Al pomeriggio avevo fatto i compiti (ero uno scolaro diligente e forse anche tra i primi della classe). Poi, come spesso accadeva, ho dovuto aiutare mio padre che aveva un negozio di riparazione di biciclette (la bici era allora il più importante mezzo di trasporto locale). Non ricordo bene, ma ci saranno state un paio di gomme bucate da riparare (era la mia specialità. Chi di voi sa riparare una gomma della bici?). Appena terminato di assolvere il mio compito di bravo figliolo che aiuta la famiglia, sono scappato assieme ai miei amici ed amiche che abitavano vicino (abitavo in quello che era stato un vecchio convento con tanto di chiostro e si poteva giocare benissimo sia a palla che a nascondino).
Non chiedetemi che gioco facessimo proprio quel pomeriggio. Pretendereste un po' troppo. Sicuramente non giocavamo a cavalletta (scommetto che non sapete cosa sia), perché c’era in giro un’aria strana, di attesa. Si sapeva che avrebbe dovuto parlare Lui. Doveva fare un discorso importante. Avevano installato degli altoparlanti in giro per le strade. In attesa dell’evento, forse giocavamo a nascondino (c’è chi dice rimpiattino).
Il cielo era coperto e non spirava un filo d’aria (l’ho già detto, ma qui serve a sottolineare l’atmosfera di attesa che era densa come l’aria stagnante). Sulle porte di casa c’erano come al solito le nonne sedute su una sedia (in dialetto brianzolo si dice carega). Ma ogni tanto si affacciavano anche le mamme, e questo era un po' insolito. Anche mio padre ogni tanto usciva dalla bottega con in mano la lima od il martello e si guardava attorno. Poi si cominciarono a vedere gruppetti di uomini fermi a parlare, anche loro in attesa. Che ore erano? Diciamo tra le cinque e le sei? (Cercate voi da qualche parte, magari su Internet, l’ora esatta in cui cominciò il discorso dal balcone di Palazzo Venezia).
Noi ragazzi avevamo smesso di giocare e giravamo per le strade intorno a casa. Nessuna automobile in giro. Di auto ce n’erano poche comunque. Ma da qualche mese neanche quelle poche avevano il permesso di girare (per risparmiare benzina da quando i tedeschi erano entrati in guerra ed i rifornimenti scarseggiavano). Solo ai medici o a qualche gerarca o ricco e raccomandato signore, era dato uno speciale lasciapassare per l’uso della vettura.
Ad un certo punto gli altoparlanti si misero a suonare un inno. Sarà stato probabilmente Giovinezza. Poi la Sua voce, quella del Duce. Sono andato a risentire l’inizio di quel discorso sul cd-rom del Corriere della Sera sulla storia del ‘900. Io c’ero, io quella voce l’ho sentita. Ecco le sue parole:

Combattenti di terra, di mare e dell’aria, camice nere della rivoluzione e delle legioni, uomini e donne dell'Italia, dell'Impero e del Regno d’Albania, ascoltate! …(applausi) Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria …(applausi lunghissimi). L’ora delle decisioni irrevocabili …(qui gli applausi sembrano non finire mai). La dichiara-zione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori ..(applausi) di Gran Bretagna e di Francia…”
Confesso che a me, che tra l’altro ero un Balilla Moschettiere, era venuta un po' la pelle d’oca (o di cappone, se preferite) sulle cosce e provavo dei brividi su per la schiena. Come ogni volta che avevo delle emozioni patriottiche. Rileggete bene quelle parole. C’è l’Italia, l’Impero, la Patria e c’è pure il Regno d’Albania. Adesso l’Impero non c’è più, la Patria si scrive con la p minuscola e abbiamo gli albanesi dappertutto. E poi non ci sono più le camicie nere e le legioni romane. Difficile oggi emozionarsi per un discorso di retorica patriottica. Ma allora… altri tempi.
Finito il discorso, noi ragazzi eravamo tutti eccitati. Non dico che fossimo entusiasti perché c’era la guerra, ma eccitati sì. Per dare sfogo all’eccitazione cominciammo a rincorrerci in mezzo ai capannelli di gente che, forse meno entusiasti di noi, commentavano, fermi in mezzo alla strada, l’avvenimento. “Hai sentito che richiamano sotto le armi anche la classe del ’98?” Mio padre era appunto del ’98.
Il nostro rincorrrersi si trasformò nel gioco della cavalletta (?) e durò fino a sera. Poi a mangiare. Dopo cena fuori a giocare a nascondino (o nasconderella) fin che le mamme si sgolarono, ormai vicino a mezzanotte quella sera un po' speciale, a richiamarci per andare a letto.

Il giorno dopo a scuola, come sempre. Forse il maestro indossava la camicia nera quel giorno. E forse ci parlò dell’importanza della guerra, della vittoria che ci sarebbe stata presto. Il pomeriggio, fatti i compiti fuori a giocare, come sempre. Una cosa tuttavia cambiò. Da quel giorno la radio diffondeva i bollettini di guerra.

Ma come, direte voi, è scoppiata una guerra che durerà cinque anni con milioni di morti, città distrutte, e voi, come niente fosse, continuate la vita normale, scuola, studio, gioco?
Proprio così. Anzitutto noi non sapevamo cosa sarebbe veramente successo. Poi, ognuno vive nel suo piccolo mondo. Che c’era la guerra lo sentivano molto di più i ragazzi che avevano il papà soldato, rispetto a chi non l’aveva. Tutto era lontano.

D’altra parte, pensateci un po'. Anche oggi, anche se non è scoppiata la guerra mondiale, di cose che vanno male in giro per il mondo ed anche a casa nostra ce ne sono tante. Saddam ed i missili, la Russia che crolla, gli scafisti che scaricano in mare donne e bambini, i bambini che fanno il soldato sparando, uccidendo ed essendo uccisi in mezzo all’Africa. Chissà se queste cose lontane non avranno un giorno influenza sulla vostra vita di cui ora non vi rendete conto? Tra l’altro, questi avvenimenti oggi dovrebbe sembrare meno lontani della guerra di allora, perché la televisione ce li presenta ogni giorno crudi e vivi. Allora la TV non c’era e la Settimana Incom (?), al cinema dell’Oratorio (?) la domenica, ci presentava le immagini della guerra dove i nostri erano sempre i vincitori (anche se così non fosse stato).
Eppure voi continuate la vita d’ogni giorno, andate a scuola, studiate più o meno (anzi qualcuno più, qualche altro meno), giocate, guardate la TV (non troppo spero). Comme toujours!  Un po' di francese non guasta per rompere il climax (?) del discorso.

Sto scrivendo i miei ricordi sul mondo di allora, quando io frequentavo le elementari e facevo la guerra finta il sabato fascista come Balilla Moschettiere. A richiesta (anzi deve essere a grande richiesta come per i bis a teatro) posso farvene avere copia.

Ciao, cari ragazzi della 5a della Scuola Elementare F. Mazzarello (dovrei sapere chi era?) incontrati sull’autobus 58.

Auguri per l’avvenire. La Patria conta su di voi.

Un signore con i pochi capelli rimasti, da tempo ormai bianchi.

????

P.S.  C’è un premio ha chi scoprirà gli errori di orografia, sintassi e analisi logica